Tecnica del time-out: 5 buone ragioni per evitarla

La tecnica del time-out è diventata molto popolare negli ultimi anni, soprattutto grazie ad alcuni tv show che la pubblicizzano come uno strumento fondamentale per disciplinare i bambini. Questo metodo consiste nel punire il bambino che si “comporta male”, secondo lo standard del genitore, chiedendogli di andare in camera o sedersi in un angolo per un tempo che l’adulto stabilisce. Durante questo tempo, il bambino dovrebbe riflettere sulle proprie azioni e riprendere controllo delle proprie emozioni, il tutto ovviamente da solo e senza il supporto del genitore. Nata con l’idea di fornire ai genitori uno strumento alternativo alle punizioni corporali, è a tutti gli effetti una punizione che causa altrettanti danni. La tecnica del time-out è infatti tanto inefficace quanto controproducente. Andiamo a scoprire perché. 

non corrisponde all'età di sviluppo dei bambini

Il time-out, pur essendo adattabile a bambini di ogni età, viene soprattutto utilizzato soprattutto con bimbi al di sotto ai sei anni. Il primo problema è che un bambino di 3 o 4 anni non possiede le capacità cognitive o la consapevolezza necessari a riflettere sulle proprie azioni. In secondo luogo,  è proprio quando si trovano a navigare emozioni forti che devono essere guidati dagli adulti per dare un’etichetta a queste emozioni, imparare a conviverci e a gestirle. Senza dubbio, non possono farlo da soli chiusi in una stanza con la consapevolezza di essere stati allontanati dalle persone che amano di più al mondo. 

non insegna nulla

La tecnica del time-out viene di solito utilizzata in risposta ad un comportamento considerato inadeguato o spesso nel caso dei cosiddetti capricci. 

Pensiamo ad alcuni casi pratici: 

  • Due bambini che si picchiano perché entrambi vogliono lo stesso gioco
  • Crisi di pianto prima di lasciare il parco giochi
  • Un bicchiere che cade a terra e si rompe durante il pranzo

In questi 3 esempi, quelli che chiamiamo comportamenti cattivi, sono in realtà abilità che il bambino non ha ancora acquisito (auto-controllo, abilità sociali e empatia). Oltre a punire il bambino per il semplice fatto di essere bambino, con il time-out l’adulto non offre alcuna strategia per gestire la situazione in maniera differente la prossima volta. Nel primo episodio, in particolare, usando il time-out, l’adulto perde l’occasione di modellare il linguaggio da utilizzare, aiutare lo sviluppo dell’empatia e delle abilità sociali. Dopo aver utilizzato questa tecnica molte volte, è probabile che i due bambini non arrivino più alle mani, non perchè avranno assimilato nuove abilità ma semplicemente per la paura di essere puniti. 

li fa sentire abbandonati

Allontanare i bambini da noi nel momento di difficoltà, significa a tutti gli effetti dirgli “Ti voglio bene, ti voglio vicino, solo quando ti comporti bene”. Questo messaggio implica che il nostro affetto nei loro confronti, invece di essere incondizionato come dovrebbe essere, è legato al loro comportamento e potrebbe cambiare in ogni momento. Come potete immaginare, è una sensazione che crea disagio e insicurezza nei bambini, e può portare in futuro al peggioramento del loro comportamento. Inoltre, si rischia che il bambino non faccia differenza tra la punizione del comportamento e della persona, assumendo su se stesso l’etichetta del “cattivo”.

la tecnica del time-out

crea distanza

Avete mai visto un bambino accettare con gioia il time-out? Al contrario, l’essere mandati in un angolo o nella propria stanza non fa altro che alimentare la tensione e far salire alle stelle l’intensità delle emozioni. Rabbia, tristezza e delusione non favoriscono certamente la comunicazione e possono influenzare in maniera negativa il rapporto genitore-figli. A tutti gli effetti, il time-out rappresenta uno degli incubi peggiri per un bambino, ovvero di perdere l’affetto dei propri genitori. Questa non è certamente una buona premessa per creare un rapporto solido basato sulla fiducia reciproca. 

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